Le relazioni umane si basano sulla comunicazione di parole, frasi, gesti ma non solo; esistono tre tipi di comunicazione interpersonale:
1) Comunicazione verbale: comprende l’insieme dei messaggi verbali;
2) Comunicazione non verbale: fa riferimento al linguaggio del corpo le espressioni facciali, la postura, la posizione che si occupa nello spazio, i movimenti;
3) Comunicazione paraverbale: riguarda il tono della voce, il silenzio, le risate e altre emissioni di suoni.
E’ facile comprendere quindi il primo assioma della comunicazione che afferma: “Non si può non comunicare”: intorno alle parole esiste un’aurea di non detto da osservare e interpretare…
Affinchè una comunicazione risulti efficace, sono necessarie 3 fasi: il silenzio, l’ascolto e la parola
Il silenzio interiore
Nella società contemporanea occidentale, la comunicazione è spesso sbilanciata solo sull’atto del parlare come momento in cui poter affermare se stessi, parlare di sé, sfogarsi; il silenzio è considerato come un momento che provoca imbarazzo, da evitare. Quello che ne risulta non è una comunicazione ma un finto dialogo tra monadi che non sono in reale connessione tra loro ma, semplicemente, chiacchierano. La predisposizione all’ascolto implica uno stato di silenzio interiore che è la condizione prima per poter ascoltare se stessi, gli altri e il mondo; solo stando in silenzio dentro se stessi e di fronte a se stessi si può stabilire una connessione autentica. Riuscire a creare uno spazio di silenzio interiore diviene al giorno d’oggi un processo di purificazione: la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa come la tv in casa, la radio in auto, il computer, lo smartphone e i social network nel continuo tentativo di informare e intrattenere, impediscono di sperimentare quella solitudine positiva e la quiete necessaria. Questo brusio verbale di sottofondo, tiene la mente occupata da un vociferare di parole che avvolgono e inondano le vite di ognuno finendo inconsapevolmente per gestirle. E anche quando si è da soli, tuttavia, e in silenzio, si è spesso immersi in un flusso di pensieri incessanti rivolti al passato o al futuro, che collocano la persona in uno stato d’animo di nostalgia, preoccupazione, di ansia, di fretta, di angoscia; è così che il silenzio diventa la condizione necessaria per fare spazio e liberare la mente. Trovare il modo di concentrarsi solo sul momento presente, ci permette di apprezzare la realtà che ci circonda e spogliarci da pensieri superflui che ci tolgono la possibilità di godere dell’hic et nunc.
Sostare nel silenzio da soli o con altri è qualcosa che la società occidentale raramente tollera, il silenzio è temuto, si cerca di riempirlo di parole o attività per non far emergere emozioni o stati d’animo difficili negativi. La consapevolezza è il processo attraverso il quale si giunge ad uno stato di quiete interiore che permette di osservare in profondità, di scoprire se stessi e cosa si vuole fare, liberandosi da inutili fardelli.
Cosa ci insegna la filosofia orientale sulla consapevolezza?
Al fine di aumentare la consapevolezza su ciò che entra nel corpo e nella mente, la filosofia buddista descrive quattro tipi di nutrimenti:
1) Cibo commestibile;
2) Impressioni sensoriali;
3) Volizione;
4) Coscienza individuale e collettiva;
Il cibo commestibile è il nutrimento che giunge alla mente attraverso la bocca e che permette di sopravvivere, potrebbe trattarsi di cibo biologico, cibo vegetariano ma anche cibo spazzatura ad esempio; le impressioni sensoriali rappresentano il nutrimento che giunge alla mente attraverso i processi della sensazione e della percezione di suoni, musica, sapori, panorami, quadri, poesie, letture… ma anche SMS, telefonate, social network, programmi tv ecc. Si può far entrare nella mente un “cibo” piuttosto che un altro con motivazioni diverse, ad esempio per divertimento, o per ammazzare il tempo, per tenersi informati o per non sentirsi soli. Le impressioni sensoriali che entrano nella mente si incontrano con la volizione del soggetto, il terzo nutrimento, che rappresenta la volontà, la motivazione, il desiderio ovvero le intenzioni che nutrono le decisioni e che spingono a compiere un’azione. Come per le precedenti, anche la volizione spazia da una motivazione costruttiva fino ad una volizione poco salutare quale può essere la brama o l’ossessione. La coscienza individuale rappresenta il modo in cui la mente nutre se stessa, i pensieri e le azioni anche in assenza di impressioni sensoriali; la coscienza collettiva comprende tutte le coscienze individuali, essa si può connotare con sentimenti positivi quando è solidale, gioiosa, compassionevole oppure competitiva, violenta, pettegola… Tutti questi “cibi”, in base a cosa si sceglie, possono essere nutrienti o tossici, salutari o non salutari, dipende cosa si vuole consumare, quanto se ne vuole consumare e a quanto si è consapevoli di cosa si sceglie. La consapevolezza è il fattore che permette di fare la differenza nella scelta perché diventa la barriera protettiva in grado di discriminare su cosa far entrare e cosa no. Senza la protezione che ci dà la consapevolezza tutti i cibi tossici entrerebbero influenzandoci in maniera negativa mentre attraverso di essa, è possibile scegliere di far entrare i cibi che aiutano la persona a tenere uno stato d’animo costruttivo. Creare un stato di silenzio interiore, respirare ponendo attenzione sull’atto di inspirare ed espirare, camminare a contatto con la natura sono modi efficaci per aumentare la consapevolezza, liberare la mente dai pensieri e stimolare il contatto autentico con se stessi.
Il silenzio nella relazione con l’altro
Anche durante un colloquio psicologico e quindi all’interno della relazione, il silenzio e l’ascolto del silenzio (del non detto), fanno parte della comunicazione non verbale, essi vanno accolti, avvalorati e interpretati. Esistono diversi tipi di silenzio, ognuno dei quali assume un significato diverso:
1) Silenzio interiore: come visto finora, implica la liberazione dai pensieri superflui per sintonizzarsi con se stessi, è la premessa per una buon ascolto;
2) Silenzio di apertura: uno stato di attesa che indica una predisposizione all’ascolto dell’altro, all’accoglienza;
3) Silenzio di chiusura: al contrario, indica una difesa narcisistica nei confronti dell’altro, una resistenza all’incontro;
4) Silenzio di vicinanza: denota empatia, condivisione di stati d’animo di sofferenza;
5) Silenzio silente: un tipo di silenzio che denota passività, estraneamento, non ascolto;
6) Silenzio parlante: al contrario, trattasi di un silenzio di presenza, vivo, in grado di prendere parola;
7) Silenzio come fattore integrativo: in una relazione profonda, il silenzio condiviso favorisce nel paziente processi integrativi di autoanalisi, l’accettazione delle parole dello psicologo e il cambiamento;
Concludendo, come abbiamo visto in questo articolo, la capacità di stare da soli e in silenzio, è parte non solo di una comunicazione efficace ma è la base per riuscire ad ascoltare se stessi e quindi per conoscersi.